Bologna, dal 2012 al 2017

Nei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) l’ossessione del cibo, e quelle correlate del peso e del corpo, che ingombrano l’orizzonte delle persone malate, non sono che cortine fumogene, che nascondono alla vista la vera malattia, che si radica nei sentimenti della persona malata verso se stessa. Il Disturbo Alimentare non è quindi che il sintomo visibile di un dolore più profondo che non si vede, in cui si coagulano la paura di non essere comprese, riconosciute, amate, la paura di non comprendersi, di non saper riconoscere chi realmente si sia, che cosa si desideri, a cosa si aspiri… la paura di avere paura.

E’ facile che il sintomo assuma allora la illusoria funzione di cura: di fronte ad un mondo interiore che appare disgregato e incontrollabile, il controllo rigoroso sul cibo, il peso, il corpo può dare la fallace convinzione che tutto può non andare in pezzi, che si sia trovata la soluzione al disagio; e allo stesso tempo può divenire una ingannevole protezione, contro quel profondo disagio interiore che non si riesce a nominare, guardare, affrontare.

L’esperienza del corpo diventa l’esperienza di un oggetto, da controllare, manipolare, negare; di uno strumento, da utilizzare per dar voce a un dolore per cui non si hanno parole, per reclamare uno sguardo che è stato negato, per tenere sotto controllo il disordine; il corpo si fa campo di battaglia, l’ultimo approdo di conflitti che nascono altrove e possono finire con l’annientare la capacità di desiderare, gioire, progettare, rinchiudendo la persona malata in una gabbia di solitudine.

Un Laboratorio di Yoga con pazienti affette da DCA può trovare un suo senso come tentativo per entrare in un’esperienza del corpo altra: un tentativo di ritrovare, nel corpo, la familiarità con i propri bisogni, desideri, aspirazioni, con le proprie risorse, di riabituarsi all’ascolto, alla cura di ciò che la malattia ha tenuto silente.

Di solito la pratica si apre con un momento di rilassamento; si invita a portare l’attenzione ai punti di appoggio del corpo sulla terra, a osservare se si può, a poco a poco, lasciar colare il peso sui punti di appoggio. Si inizia così a vivere la gravità, attraverso la percezione tattile del contatto con la terra; si sperimenta il sostegno della terra, la possibilità di lasciar andare il peso, le tensioni, il controllo. Non è facile: spesso le ragazze si accorgono di non riuscire a rilassarsi, il tentativo di farlo scatena ansia; è bene allora sottolineare che anche questa presa di consapevolezza è preziosa: riconosco, qui, ora, il mio stato. Progressivamente la possibilità di rilassarsi a terra aumenta, si sperimenta come sia possibile deporsi, affidarsi alla terra senza sentirsi sperdute, ma anzi accolte, sostenute.

Diviene allora più agevole aprirsi all’ascolto del respiro, che si è fatto un po’ più ampio, più libero. Una piccola sequenza di Krya introduce alla esplorazione del respiro frazionato, e permette di sperimentare la forza del respiro, che muove il corpo fisico, produce un’azione, senza sforzo.

Si prosegue con una sequenza di posizioni; un riscontro positivo hanno sempre le posizioni in piedi, che lavorano sulla stabilità, il radicamento, la presenza; gli archi, che rispondono a un bisogno di apertura di una postura, fisica e interiore, ripiegata su se stessa; gli equilibri, da soli o a coppie, sempre introdotti in modo giocoso e sempre accolti con divertimento e ironia; le posizioni capovolte, quando è possibile.

Si può introdurre il lavoro sulla voce, sperimentando come nel canto della sillaba Om o di un mantra, il respiro, letteralmente, prenda corpo, sostanziandosi in modo palpabile, emozionante.

Ad esempio, nella pratica corporea, le indicazioni mirano a far sperimentare come siano il corretto allineamento rispetto alla gravità e la libertà del respiro a sostenere il lavoro. Si può lavorare sentendo il giusto grado di forza muscolare, quella necessaria e non di più, sentendo cosa ho bisogno di contrarre e cosa invece posso lasciare soffice, sperimentando in eguale misura la forza della forza comunemente intesa e della morbidezza. Ci si muove nella ricerca del gesto funzionale, spontaneamente bello, a poco a poco provando a spogliarsi di contrazioni fisiche, che sono di fatto psicologiche, sedimenti di contrazioni nate altrove, parassite, che rendono il gesto più faticoso, meno libero, che ne soffocano il respiro.

Tutto questo spesso è spiazzante per le ragazze; si tratta di fare qualcosa per loro sconcertante: fare meno, uscendo dall’idea che ci sia un risultato da raggiungere, abbandonando l’atteggiamento competitivo o performativo. Le indicazioni in questo senso non sono mai troppe: osservare il proprio limite e fermarsi un po’ al di sotto, osservare fin dove è il respiro a sostenere l’esercizio e fermarsi prima che subentri la fatica, prendersi il tempo necessario per entrare nell’esercizio.

E’ importante esplicitare il senso di questo fare meno: se entro nello sforzo il corpo percepisce un conflitto, non si fida e si difende, contraendosi; se rimango al di sotto del mio limite, il corpo impara a fidarsi, a poco a poco mi permette di approfondire la posizione, di rimanervi più a lungo, il respiro si fa più ampio e profondo, alla fine ottengo di più.

E questo di più che ottengo lasciando un po’ la presa, sgombrando un po’ il campo, ha più a che fare con la dimensione dell’accadere piuttosto che del fare, lo percepisco come qualcosa che mi viene dato, mi apre alla possibilità di un avere che è un accogliere piuttosto che un prendere, mi muove verso l’atteggiamento del ringraziamento, che è la condizione dell’apertura alla relazione, allo spazio del noi.

Rileggendo quanto scritto finora, mi rendo conto che è forse un racconto un po’ sconclusionato. Mi ero ripromessa di illustrare una pratica-tipo che proponiamo, ma in realtà questa pratica-tipo esiste solo nelle nostre programmazioni, molto spesso mandate a monte dalle richieste che le ragazze ci rivolgono. Di fatto quello che si va via via chiarendo in questi due anni di Laboratorio sono linee guida di fondo, alcune delle quali ho cercato di illustrare. E quello che si sta sostanziando è uno spazio di confronto, condivisione, una occasione, per noi insegnanti come spero per le ragazze, di ricerca ed esplorazione di sé, una continua opportunità di schiarimento, una incessante fonte di domande, di cui non si può far altro che essere grati.

Articolo di Laura Ferrari.

Pubblicato nella rivista “Percorsi Yoga”, numero monografico dedicato a: “Lo Yoga nelle relazioni d’aiuto”.

 

Laboratorio Movi-Menti dedicato ad adolescenti e pre-adolescenti.

Attivo nel 2017 presso lo Spazio Giovani del Dipartimento di Cure Primarie dell’Azienda AUSL di Bologna.

Laboratorio di pratiche corporee, Yoga e Metodo Feldenkrais® in particolare, dedicato ad adolescenti e pre-adolescenti, in collaborazione e presso lo Spazio Giovani del Dipartimento di Cure Primarie dell’Azienda USL di Bologna.

Obiettivi del laboratorio sono stati lo sviluppo di una più profonda attitudine propriocettiva, della consapevolezza nei partecipanti delle proprie risorse personali e dei propri punti di criticità, della capacità di relazione, di ascolto e di rispetto all’interno di un gruppo. Il lavoro proposto si è composto di elementi di rieducazione respiratoria e posturale, esercizi di presa di consapevolezza della relazione con lo spazio, con la forza di gravità, con l’equilibrio, con la capacità di attenzione e concentrazione, con le direzioni energetiche del movimento e con il coinvolgimento emotivo che il lavoro corporeo implica imprescindibilmente. La conduzione ha teso ad incrementare una competenza al movimento efficace e senza sforzo, fuori da logiche performative, ma personale e creativo, promuovendo la partecipazione e la co-costruzione del percorso di lavoro da parte degli allievi e delle allieve.

Il Laboratorio è stato condotto da Laura Ferrari, insegnante di Yoga e da Laura Menabò, psicologa, tirocinante in Psicologia Clinica presso lo Spazio Giovani.

 

 

Laboratorio di Yoga dedicato ad adolescenti affetti da Disturbi del Comportamento Alimentare.

Attivo dal 2012 al 2016 presso il Day Hospital del Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna.

Dal 2012 al 2016 le insegnanti dell’Associazione Laura Ferrari ed Elena Ricci tengono a titolo volontario un Laboratorio di Yoga a cadenza settimanale presso il Day Hospital del Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare in Età Evolutiva del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna. Il progetto è autofinanziato dall’Associazione.

Nello stesso periodo le insegnanti collaborano con il Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda ASL di Bologna e con il Centro Gruber per i Disturbi del Comportamento Alimentare.